giovedì 3 maggio 2012

la domus romana - 1° parte

Immaginiamo di  svegliarci una mattina e trovarci proiettati come per incanto in un’epoca lontana. Viaggiatori inconsapevoli su un’ipotetica macchina per il tempo regolata su una data ben precisa, siamo catapultati nostro malgrado nel periodo dell’età augustea, l’età dei cesari, quando Roma al culmine del suo potere politico e militare celebrava i fasti della sua potenza.  Roma, un agglomerato urbano di un milione di abitanti, ben progettata  e costruita per dar lustro alla sua fama di città imperiale di fronte alla quale tutti gli altri popoli si devono inchinare. Insomma l’immagine che ci hanno trasmesso i libri di storia e  che ci viene riproposta nei film in costume, che ci ha fatto sognare, fantasticare,  e che noi romani, immersi nei meandri di una città moderna, caotica e disordinata, sporcata dai fumi inquinanti dei gas di scarico delle macchine, imbrattata e sfregiata dai vandali di quartiere, scorgiamo distratti tra i ruderi delle vestigia antiche che emergono timidamente dagli spazi recintati.

Cosicché, dismessi pantaloni e maglietta, indossiamo una semplice tunica di stoffa  su cui  avvolgiamo la toga, una veste di lana bianca, ampia e magnifica. Così conciati possiamo camminare inosservati tra la gente dell’urbe.  Immaginiamo di percorrere sotto i caldi raggi di un sole primaverile le grandi strade consolari, lastricate con enormi massi di marmo squadrato nell’ora in cui il passaggio dei carri e delle bighe le rende caotiche e trafficate.
Ci affacciamo meravigliati sulle esedre abbellite dalle fontane zampillanti acqua cristallina e dalle statue di marmo che riproducono soggetti pagani. Continuiamo sereni la nostra passeggiata e  attraversiamo i fori oltrepassando gli archi di trionfo. Le mura delle case circostanti, disposte a più livelli  come piccoli e affollati condomini, sono abitate dalle classi povere della città. Queste palazzine fatiscenti, chiamate insulae, ben differiscono dalla domus che rappresenta invece l’abitazione del ceto più ricco.  Mossi da un’insolita curiosità decidiamo di  addentrarci nelle atmosfere più intime e familiari dei nostri illustri antenati ed entriamo nelle loro case per scoprire come si viveva nell’antica Roma.

La domus romana era molto raffinata, arricchita da splendidi affreschi riproducenti scene mitologiche, paesaggi oppure semplici figure geometriche, dai colori giallo ocra, azzurro, rosso su sfondo nero e verde mela. Le case non avevano molti mobili per cui erano gli affreschi, insieme alle statue, alle colonne e alle suppellettili a dare lustro agli ambienti.
Vi si potevano trovare qualche armadio a muro e piccoli bauli dove venivano riposte le cose.  I pavimenti in marmo policromo formavano degli splendidi disegni che differivano a seconda dell’importanza della stanza, ad esempio il triclinium ossia la sala da pranzo era decorato con  i mosaici più belli.  Il soffitto era fatto di legno a cassettoni (lacunari) intarsiati o decorati con stucchi e le poche finestre che davano sulla strada erano ridotte  a piccole e  strette feritoie per evitare l’ingresso dei ladri. Le stanze che si affacciavano direttamente sulla strada erano solitamente affittate a terzi per essere adibite a negozi o botteghe artigiane ed erano denominate tabernae La domus era costruita  in mattoni e calcestruzzo su una base rettangolare, spesso su unico piano e si componeva di diversi ambienti raggruppati intorno al nucleo interno ossia il peristilium. Un’idea di come poteva essere la tipica casa dei patrizi romani ci è data dai ritrovamenti di Pompei i quali a causa della cenere e del magma fuoriuscito dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. che distrusse non solo Pompei ma anche Stabia ed Ercolano, ci sono pervenuti intatti. Un’ottima ricostruzione è quella che ci propone il video in 3D della Melbourne University che ho inserito. Una riproduzione attenta e dettagliata degli ambienti e delle loro funzionalità.
Ma andiamo per ordine e seguiamo il percorso ricostruito dal video.

Dall’ingresso principale, bipartito in vestibulum e fauces si accedeva all’atrium , la stanza più importante della casa perché era lì che venivano accolti gli ospiti di riguardo e i clienti che ogni mattina venivano a salutare il loro padrone secondo l’uso della salutatio. Un servo chiamato nomenclator li annunciava al suo padrone sussurrandogli  il nome all’orecchio. Il ricco  patrizio,  in segno della sua benignità , faceva dono della sportula che inizialmente consisteva in un cesto di frutta e poi venne sostituita in una piccola somma di denaro che ammontava a soli 25 assi d’argento. Abbellito da splendidi affreschi e arredata con ampi divani e sedie,spesso con opere d’arte in bella mostra nonché statue di altissimo pregio, l’atrium aveva al suo interno una grande vasca rettangolare chiamata impluvium che raccoglieva l’acqua piovana che cadeva in perpendicolare dall’apertura del soffitto chiamata compluvium. L’acqua veniva raccolta in una cisterna sotterranea e alimentava la dotazione idrica della casa. In un angolo dell’atrium era collocato un piccolo altare votivo. Gli antichi romani  veneravano i loro avi e molte divinità pagane pertanto ogni famiglia possedeva un lararium. Era un piccolo altare posto su un tavolo o una colonnina di marmo davanti al quale venivano fatte le preghiere e presentate  le offerte ai propri geni tutelari chiamati lari, mani e penati, in cambio della loro protezione. Dal’atrium si accedeva ai cubicula e alle alae.

Il cubicolo era la stanza da letto padronale, una celletta senza finestre ma  arricchita da bellissimi affreschi. All’interno vi era il letto, un  armadio a muro e un comodino sul quale si potevano trovare delle anfore, un catino e uno specchio. Le stanze erano illuminate da piccole lucerne ad olio appese al soffitto. 

Le alae erano invece dei disimpegni che collegavano le stanze. Un altro ambiente era il tablinum, lo studio del padrone che fungeva anche da salotto. La stanza era riscaldata dal braciere e illuminata dalle lucerne ad olio poste sopra  grossi candelabri. In questa stanza il padrone conservava l’archivio di famiglia e riceveva i suoi clienti. Il tablinum  aveva gli angoli delle pareti foggiate a pilastri,  dei magnifici affreschi parietali.  Riceveva luce ed aria dall'atrium da cui era separata da tendaggi, e dal  peristylium sul quale si affacciava con un'ampia finestra.  Al centro della stanza si trovava la scrivania  sulla quale possiamo notare, dalla ricostruzione grafica,  la presenza di rotoli di carta e di tavolette su cui venivano incise le parole con una piccola stilo di ferro. Poiché non vi erano finestre la luce che illuminava le stanze proveniva esclusivamente dall’impluvium e dal peristilium, il grande giardino interno.


Fine prima parte


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