martedì 10 dicembre 2013

PETER FLACCUS: la terra cambia


 Colore e suggestioni attraverso la tecnica dell'encausto. Un viaggio immaginifico nel modo dell'artista statunitense.


Dal 5-12-2013 al 16-01-2014

Galleria “la nube di OOrt”

via Principe Eugenio 60, Roma

Peter Flaccus al cntro

 


di R. Orsini (Blogger)
Questa volta il nostro itinerario esplorativo nel mondo dell'arte contemporanea ci ha condotto in una piccola galleria d'arte del centro di Roma “La nube di OOrt” dove il il 5 dicembre è stata inaugurata la personale del pittore Peter Flaccus. L'artista, americano di nascita ma romano d'adozione, espone a Roma dopo quattro anni di silenzio una serie di dittici di grandi dimensioni realizzati attraverso una tecnica particolare, l'encausto, ossia l'uso della cera d'api.
L'utilizzo di questa sostanza naturale, mischiata a pigmenti colorati, gli ha permesso di comporre quadri dai suggestivi effetti cromatici, accesi e luminosi nel contempo, con un effetto a balzo sul materiale d'appoggio (masonite). Impressioni, luminosità, gettate di colore sul piano, macchie fluide che si compongono casualmente sono alla base del suo lavoro, frutto di una lunga e continua sperimentazione attraverso un viaggio cognitivo dei materiali e dei suoi infiniti usi. Osservando i suoi lavori siamo affascinati da singolari ed originali elaborazioni visive che convincono e conquistano.
Titolo della mostra è “la terra cambia”. I tre grandi lavori esposti nella galleria traggono nome dalle impressioni personali dell'artista a lavoro ultimato e rimandano alla natura: Madagascar, le Isole, e le Alpi .
Puro astrattismo si erige davanti ai nostri occhi. Le prospettive sono assenti. Si tratta di macchie di colore di varie dimensioni che si mescolano tra loro creando un armonioso effetto cromatico.
La cera calda e fluente scava il suo alveo fino a che non si solidifica. I colori si mescolano e danno corpo ad un immagine astratta. Così le forme si condensano dopo aver segnato i confini della terra. Uno sguardo distante, lontano, centra il soggetto. Lo identifica, lo chiarisce. La terra cambia, ha mille facce, mille profili, si trasforma davanti ai nostri occhi. Se osservassimo la terra dall'alto, dall'oblò di una navicella spaziale vedremmo soltanto chiazze bonzee, cerulee e verdastre, sparpagliate e confuse. Forse i continenti, gli oceani e le vallate ci sembrerebbero un quadro di Flaccus.
Madagascar

Emerge dallo sfondo il profilo della terra. Accanto alla sagoma del continente africano pervaso da un colore rosa magenta appare una piccolo quadrato beige; è il Madagascar. Le isole invece affiorano dallo sfondo grigio. Troneggiano il verde e il rosso. Colori che rimandano ad un paesaggio lussureggiante seppur astratto. E infine le Alpi, un cerchio variegato circonda il centro bianco che si identifica con i ghiacciai.
La mostra richiama la nostra attenzione e quella del pubblico presente entusiasta. L'artista ci spiega il suo lavoro e la scelta dell'encausto come materiale.

Domanda: I quadri sono bellissimi. Mi ha colpito l'accostamento di questi colori molto accesi. L'effetto cromatico è armonioso, richiama l'attenzione per la sua luminescenza. Potrebbe spiegarmi un po' lei come nasce questo lavoro, da cosa ha tratto ispirazione. Ad esempio perché la scelta del colore?
Risposta: Nasce soprattutto dalla voglia di sperimentare. Ad esempio solo due anni fa facevo molti quadri neri o bianchi, con colori tenui o solamente scuri. E a un certo punto mi è venuta la voglia di esplodere con colori nuovi. Nello stesso tempo ho trovato una nuova gamma di colori in un negozio dove mi rifornisco. Volevo sperimentare. Spesso sperimentare, fare una cosa che non conosci è il modo migliore per andare avanti. Perché bisogna essere un po' ignoranti per sperimentare.

Domanda: Il passaggio dall'uso del bianco e del nero ai colori dipende anche da uno stato d'animo?
Risposta: Non nel senso letterale. Non è che un giorno mi sono sentito più esilarante e ho deciso di usare i colori. Perché io nel lavoro sono molto costante, non sono umorale. Sono piuttosto scelte dettate da un ritmo di lavoro.
Le Alpi

Domanda: Ci può spiegare che tipo di materiale utilizza per comporre i suoi quadri?
Risposta: Questa è solo cera. Encausto significa cera. Quindi è cera d'api che si fonde e diventa liquida e alla quale si aggiungono i colori. La cera liquida prende i pigmenti colorati in polvere molto facilmente. Perciò si ottiene subito una pittura liquida come qualsiasi altra pittura. Solo che a differenza delle altre è calda.

Domanda: Quale è il motivo della scelta dei pannelli accostati?
Risposta: In parte la scelta di questi due pannelli è dovuta al fatto che lavoro in orizzontale perché verso i colori in modo che si mischiano. Ma così posso lavorare fino ad una certa larghezza, poi diventa difficile. E poi ho trovato che posso mettere insieme un quadro abbastanza grande con due pannelli che essendo maneggevoli sono anche facilmente trasportabili, ad esempio entrano nelle scale.

Domanda: Il soggetto della mostra e i titoli dei quadri, Madagascar, l'isola, le Alpi, da cosa nascono?
Risposta: In realtà ho fatto questi quadri senza avere idea di un contenuto. Ad esempio parlando di Madagascar, ho realizzato questo quadro in seguito ad un altro, anche quello molto rosso seppur diverso, avendo in testa una nuova idea. E quando l'ho terminato ho visto che il risultato finale aveva la forma dell'Africa e quel piccolo quadrato marrone poteva essere il Madagascar. Così mi è venuto il nome. Nell'altro quelle macchie di colore sembravano isole che galleggiano sullo sfondo grigio. Perciò una volta che questo è il Madagascar, quelle diventano le isole, Islands in inglese. E anche l'ultimo doveva seguire in qualche modo lo stesso tema. Insomma i titoli vengono sempre completamente dopo, quando devo fare una mostra. In genere lavoro così.
Le isole

Domanda: Perciò il titolo nasce in base all'impressione che lei ha del risultato finale?
Risposta: Questi quadri prendono forma dopo una lunga evoluzione. Uno segue un altro. I titoli vengono sempre dopo. Ovviamente anche il titolo della mostra: la terra cambia. Ma non è sbagliato perché c'è sempre nel mio lavoro qualcosa che ha a che fare con la natura, con la terra, anche se non in modo letterale.

Domanda: Lei ha una lunga esperienza alle spalle, e ha esposto a Roma in molte gallerie d'arte.
Risposta: Vivo qui da 20 anni e ho esposto sia in situazioni culturali tipo la casa della letteratura, sia in gallerie commerciali. E un po' di tempo, precisamente quattro anni che non espongo a Roma, e così ho colto quest'occasione.

Domanda: Lei è americano ma ha deciso di vivere a Roma. Che cosa l'ha portata a cambiare vita?
Risposta: Per molto tempo ho vissuto molto volentieri a New York, una città sempre vitale che dà molti stimoli. Pensavo anzi di rimanervi per sempre. In pratica i newyorchesi non concepiscono la vita fuori New York. Poi sono venuto a Roma per insegnare all'università. Doveva essere per un anno ma poi sono diventati due. Dopo di che sono tornato a New York, ma mi sentivo ancora molto attratto da Roma. Avevo l'intuizione che la mia esperienza non si fosse ancora esaurita e allora sono tornato. E così sono passati 20 anni, e aggiungo anche molto velocemente.

mercoledì 4 dicembre 2013

"Daughters of the King". Mostra fotografica di Federica Valabrega


Le “figlie di Dio” di Federica Valabrega. 

 

Un viaggio nel mondo delle comunità ortodosse per riscoprire la spiritualità delle donne ebraiche


Grande affluenza di pubblico all'inaugurazione della mostra fotografica “Daughters of the King” di Federica Valabrega che si è tenuta martedì 26 novembre alla Ermanno Tedeschi Gallery di Roma. La famosa galleria d'arte romana ci sorprende ancora una volta per la scelta degli artisti proposti, sempre interessanti ed attuali.
Federica Valabrega è una giovane fotografa italiana che vive e lavora a New York, dove ha maturato una discreta esperienza nel campo del fotogiornalismo. “Daughters of the king” è la sua prima mostra, e ha scelto Roma, sua città natale, per presentare al pubblico le sue fotografie. Un evento importante che si affianca alla presentazione dell'omonimo libro che raccoglie al suo interno questo splendido lavoro.
Filo conduttore della mostra è la donna ebraica. Una serie di ritratti di donne colte mentre pregano, parlano tra loro, passeggiano per le strade. Un percorso esplorativo nelle varie comunità ebraiche per riscoprire il mondo femminile che si muove al loro interno e comprendere come viene vissuta ogni p singola spiritualità. Mondi diversi si affacciano davanti ai nostri occhi, con usi e costumi che racchiudono un messaggio di profonda appartenenza al gruppo ma dove la religiosità spesso viene espressa al di là dei canoni tradizionali imposti. Emergono profonde differenze dal modo in cui queste donne imprimono la loro vita di quella genuina spiritualità che dà loro forza e coraggio per affrontare le difficoltà quotidiane. I soggetti sono singolari, affascinanti, racchiusi in immagini che ci riportano indietro nel tempo perché lontane dall'atmosfera frenetica delle metropoli.
Osservando attentamente le fotografie emerge una donna vivace, vitale, di grande femminilità e che si accompagna ad un modo personale di affrontare la vita. Un modo singolare di essere donna, femminile, di grande forza interiore e di profonda spiritualità.
“Daughters of the King” è il prodotto di un lavoro lungo e impegnativo che ha avuto inizio nel 2010 e che si è sviluppato nel tempo, impegni di lavoro permettendo. Un percorso esplorativo testimoniato da bellissime fotografie scattate percorrendo i continenti attraverso un viaggio che ha toccato New York, Parigi, Israele, Marocco e Tunisia. Una serie di suggestivi scatti fotografici in bianco e nero, in cui l'immagine emerge nitida allo sfondo scuro.
Una frase emerge dal muro bianco, parole emblematiche che spiegato il significato di questo interessante lavoro. La frase cita testualmente : “L'orgoglio di una Figlia di Dio si annida nelle più segrete venature della sua anima”. Federica è emozionata e risponde calorosamente ai saluti e ai complimenti di amici e parenti presenti alla serata, ma nonostante sia molto impegnata, gentilmente ci concede un'intervista.

Domanda: Il tuo lavoro ha comportato un processo di elaborazione molto lungo. Se non sbaglio sono occorsi 4 anni di lavoro. Si tratta quindi di un lavoro impegnativo. Quale è stato il punto di partenza? E soprattutto quale è stato il tuo approccio alle comunità che hai fotografato?

Risposta: Diciamo che gli ebrei ortodossi li ho sotto casa. Io vivo a Brooklyn. L'ispirazione è nata dal vederli tutti i giorni. Ogni giorno mi veniva proprio voglia di fare una foto perché osservandoli mi sembrava di ritornare nel passato. Non vedevo l'ora di vederne un altro per osservare come si era vestito. E poi il fatto delle donne perché io sono una donna e sono un' ebrea. Nei libri che leggevo da bambina si parlava sempre di uomini con i cappelli e i caftani neri. Ma fammi vedere le donne, che cosa hanno le donne in più o in meno? Come sono vestite? Come si acconciano i capelli? Perché hanno questo loro modo di camminare? E così sono partita. Ho cominciato a scattare nel 2010 e dopo 4 anni sono arrivata qui. Sono passata per Israele, per Parigi, per il Marocco, per la Tunisia, ma non ho scattato tutti i giorni. Nel frattempo ho lavorato, ho pubblicato per qualche giornale. Questa è la prima mostra, il mio primo libro e sono molto emozionata.

Domanda: Hai trovato dei punti in comune tra tutte queste comunità che hai osservato e che hai immortalato con la tua macchina fotografica?
Risposta: Il punto in comune è racchiuso in quella frase scritta sul muro. La bellezza di una Figlia di Dio, il suo orgoglio, risiede in se stessa. Sebbene gli scatti esteriori colgano la loro fisicità, la loro bellezza fisica, queste donne sono anche molto spirituali, molto profonde, molto sexy, molto donne.

Domanda: E quale è la differenza che hai colto rispetto a noi occidentali? Soprattutto andando a Gerusalemme, in Tunisia, in Marocco, in questi posti dove la donna è un po' sacrificata. Almeno questa è l'immagine che ci viene solitamente trasmessa.
Risposta: Non sono d'accordo, e comunque questo in tutti i casi ho cercato di non farlo apparire, perché non lo è. Dipende dalla comunità a cui appartengono, dipende dal tipo di setta, dal tipo di persona. Ognuno ha il suo modo di vivere. Rispetto alle donne del maghreb arabo e ebraico che ho visitato questa estate, le ebree che ho conosciuto e che ho fotografato non hanno niente a che fare. Sono molto più libere. Possono fare molte più cose. A me non piace neanche mettere in luce questa cosa perché è la loro vita. Noi la vediamo da fuori. Come possiamo giudicarla? E' talmente diversa dalla nostra. E' un'altra cultura, un altro modo di essere ebreo, molto incentrato sulle regole. Queste sono le regole, tu le rispetti, che siano giuste o sbagliate. Poi però ci sono tante di queste donne che hanno spaziato, che hanno detto sì, io le rispetto, ma le rispetto a mio modo. E questa è la bellezza delle varie sfumature, il modo in cui hanno rispettato o non rispettato le regole.

Domanda: In una tua intervista hai dichiarato che hai voluto percorrere questo viaggio per riscoprire la tua fede?
Risposta: Non la mi fede, ma la mia identità.

Domanda: Ti senti quindi arricchita da questa esperienza e in che cosa?
Risposta: Mi sento arricchitissima perché ho dato un poco più di spessore a tante cose che magari uno quando nasce non dà. Io sono nata da una madre non ebrea e convertita alla nascita, ho avuto un'infarinatura alla religione ebraica dai nonni, dagli zii, dalle persone intorno a me però non sono andata a scuola ebraica, non ho studiato l'ebraico. Ma quando sei a New York sono talmente vicini a te che non puoi non esserne incuriosito. Sono tutti ebrei a New York , anche i non religiosi, molti, da generazione in generazione. Quindi a un certo punto ti fai delle domande. Che cosa significa essere ebreo così o colà? E ti accorgi che ci sono enormi differenze. Volevo capire come si fa a vivere una vita di precetti, che cosa significa. E mi piace, mi piace molto però io non sarò mai così. Io non sono così ortodossa, anzi non sono ortodossa per niente. Potrei aprire un capitolo sul significato di ortodossia Diciamo che c'è la religiosa e l'ortodossa. L'ortodossa riconosce la religione, ma la vive ad un altro livello, deicide di cambiare una regola a suo piacimento. Ad esempio decide che il capello si taglia ma non fino a lì. Ci sono tante sfumature rispetto a queste cose. Mi ha arricchito perché ho ritrovato un significato all'ebraicità. Però mi sono anche molto arrabbiata, ci sono delle cose che non capirò mai, che non mi vanno bene.

Domanda: Quali sono le cose che ti hanno dato fastidio proprio come donna occidentale?
Risposta. Tutti mi volevano far sposare con qualcuno. Questo mi ha dato molto fastidio. Perché nella religione ebraica le donne sono iper femministe. Ma gli rompono le scatole tutti. Come hai 18 anni ti vogliono far sposare. Le donne vogliono sposarsi , è ovvio, ma ci sono anche quelle più moderne che il fidanzato se lo trovano da solo.

Domanda : Tu a Brooklyn appartieni ad una comunità ebraica?
Risposta: No, appartengo solo a me, non mi piace appartenere ad una comunità. Il bello della nostra religione è che ci sei te e Dio.

Domanda: Una domanda sulla tecnica. Complimenti per il lavoro perché il soggetto che emerge dal chiaro scuro ha un forte impatto visivo all'interno di un quadro in cui la composizione degli attori appare perfettamente posizionata. Ma il soggetto nasce da un'idea precostituita o lo scatto fotografico avviene casualmente?
Risposta. No, sono una foto giornalista di nascita. Cammino per strada, vedo, scatto, se c'è una persona che proprio mi piace la seguo per chilometri, poi ad un certo punto la placco. Ma se gli dico che voglio farle una foto, questa viene una schifezza. Perché gli fai una foto e lei si mette subito in posa e perciò perde tutta la naturalezza.
La sposa che tutti pensate sia in posa non è in posa per niente. Lei è un' isterica, sta per sposarsi, non trova le calze. Mentre sta andando a cercare le calze in una stanza si spruzza il profumo. Riesce a trovarle un paio nella valigia di una sua sorella venuta da Israele per il matrimonio.

Domanda: Quindi è tutto casuale?
Risposta: Quasi tutto.

Domanda : Visto che in alcuni scatti il soggetto emerge dal chiaro scuro in piena luce come se uscisse dalle tenebre, un effetto che mi ha molto colpito, mi domandavo come sei riuscita a creare questo gioco di luci ?
Risposta: Perché ho un flash in mano. Io vado per strada con il mio flash, con la mia macchina sperando di trovare dei soggetti interessanti.

mercoledì 27 novembre 2013

All Tag in der DDR


Kulturbrauerei, il nuovo polo museale di Berlino, dedica una mostra permanente alla vita quotidiana dei tedeschi nella Repubblica Democratica tedesca.

Dal 16 novembre nelle sale interne del Kulturbrauerei di Berlino è possibile ammirare una mostra permanente dedicata alla ormai scomparsa DDR e al contesto socioculturale creatosi nei quarant'anni di regime. Si intitola Alltag in der DDR” dove Alltag sta per quotidianità. Un occhio puntato sulla vita che conducevano gli abitanti della DDR. Sono gli usi e costumi della gente comune a costituire l'oggetto di questo interessante progetto culturale.

Allestita grazie al contributo di fondi pubblici e privati nelle sale di un ex birrificio nel cuore del  quartiere di Prenzlauer Berg, che una volta si ergeva al di là del Muro, la mostra è stata organizzata dalla  Fondazione Casa della Storia della Repubblica federale tedesca e raccoglie circa 800 oggetti originali tra cui vestiario, mobili e auto d'epoca, bandiere, medaglie nonché 200 documenti ufficiali.  Tra questi, oltre alle lettere e ai giornali del tempo, si possono vedere anche i rapporti degli interrogatori della polizia tedesca, la Stasi. Si respira quasi un'atmosfera da film di spionaggio anni '70.

Un'iniziativa  che si affianca all’importante raccolta di testimonianze storiche della DDR riunita nel museo Tränenpalast (Palazzo delle lacrime) che accoglie un'altra mostra permanente intitolata "Esperienze di confine e di vita quotidiana nella Germania divisa."
Aperta alla stazione di Friedrichstraße nel settembre 2011, un luogo storico situato all'altezza dell'ex valico di frontiera tra Berlino Est e Ovest, la mostra riporta alla memoria l'impatto drammatico che la divisione della Germania ebbe sulla vita quotidiana delle persone e le dolorose separazioni dei Berlinesi sottoposti ai rigidi controlli della polizia.
Nelle sale del Kulturbrauerei le emozioni riaffiorano in superficie attraverso oggetti, documenti e testimonianze di un passato cancellato dal tempo, volutamente accantonato. Stralci di vita quotidiana appartenenti ad un popolo che solo  quarant'anni fa conobbe finalmente la libertà. Furono immagini indimenticabili riprese da tutti i telegiornali del mondo.
Quell'anno uno dei simboli della contrapposizione politica tra i due grandi schieramenti, quello occidentale, capitalista e quello filosovietico, comunista, veniva abbattuto permettendo il ricongiungimento del popolo tedesco diviso dopo la fine della seconda guerra mondiale da un’insormontabile parete di pietra.
Era il 1989: l'anno della caduta del muro di Berlino. Ma la storia non dimentica e così neanche l'uomo. Ed è un bene ricordare affinché anche le nuove generazioni possano conoscere la verità.

Volgiamo quindi lo sguardo indietro nel tempo e veniamo così a conoscenza di una quotidianità diversa dalla nostra, dove le ristrettezze economiche imponevano alla gente dure privazioni, come i razionamenti di cibo, e a sottostare al regime di uno stato che perseguiva un modello di omologazione sociale che soffocava la libertà dell'individuo. Oltretutto sottoponeva i cittadini ad una tensione continua che spesso sfociava in lunghi interrogatori atti a rivelare l'esistenza di spie e nemici del regime. Uomini e donne era sottoposti ad un controllo continuo. La libertà di azione era rilegata in uno spazio circoscritto, ingabbiata come un animale in cattività.
Questo è il messaggio che ci tramanda la storia ma c'era anche qualcosa di buono secondo le testimonianze dirette degli ex abitanti della DDR che riconoscono ad esempio il buon livello scolastico impartito dalle istituzioni, e l'eccellenza delle strutture sportive. Non era tutto sbagliato nonostante il clima di tensione esasperante. Dopotutto quelle persone uscivano da una guerra sanguinosa e quel poco che riuscivano ad ottenere era pur sempre qualcosa rispetto alla distruzione e alle macerie che avevano sconvolto la loro vita.
 Percorrendo le sale ci accorgiamo che la mostra si avvale anche di moderni apparecchi multimediali; video e filmati documentano la vita di quegli anni, lungo le strade, negli ambienti privati. Volti di uomini e bambini protagonisti di quella lontana realtà. Ascoltiamo le loro voci, i rumori della strada, delle macchine.
Percepiamo le atmosfere di un mondo lontano dallo sviluppo economico che contemporaneamente investiva i paesi dell’occidente donando loro quella condizione di ricchezza e benessere tanto auspicata dai governi locali.
Kulturbrauerei diviene quindi un nuovo polo museale all'avanguardia e dalla primavera del 2014 ospiterà ulteriori eventi e mostre temporanee. Grazie a questa importante iniziativa la Germania si riappropria di una parte del suo passato e ricongiunge attraverso infiniti frammenti esperienze multiformi, ricostruendo la memoria comune del suo popolo.